L’attacco terroristico di Hamas a Israele rappresenta un evento di rilevanza storica e un significativo fallimento per l’intelligence israeliana. Pianificato con estrema meticolosità per mesi o forse oltre un anno, l’attacco ha causato la morte di centinaia di persone e numerose vittime tra militari e civili. L’analisi degli eventi e delle strategie adottate da Hamas evidenzia la necessità di un lavoro a livello internazionale per promuovere la pace e la stabilità nella regione.
L’attacco terroristico perpetrato da Hamas costituisce un evento di rilevanza storica, paragonabile all’11 settembre per Israele. Le tragiche cifre parlano di 600 vittime confermate, 2.000 individui feriti e centinaia tra rapiti e dispersi, inclusi sia militari che civili. Questa operazione, pianificata con estrema meticolosità per mesi o forse oltre un anno, ha coinciso con il cinquantesimo anniversario dello Yom Kippur, un periodo storico in cui anche gli eserciti egiziano e siriano sfruttarono l’effetto sorpresa. Analogamente, Hamas ha lanciato il suo attacco in modo improvviso.
L’evento segna un significativo fallimento per l’intelligence israeliana, in particolare per lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno. Questo dimostra come un’aura di invincibilità possa talvolta portare a sottovalutare le potenzialità dell’avversario. Per comprendere meglio gli eventi, è importante considerare la strategia adottata.
La pianificazione dell’attacco è stata dettagliata ed accurata. È probabile che Hamas abbia beneficiato dell’assistenza dei consiglieri di Hezbollah o direttamente dell’unità Al Qods, l’unità specializzata in operazioni all’estero dei Pasdaran. Inoltre, sembra che sia stato condotto uno studio approfondito degli ultimi conflitti, tra cui quello in Ucraina, per trarre lezioni preziose e applicarle alla pianificazione dell’attacco.
Sulla base dei pochi dati disponibili e dall’analisi del flusso video disponibile possiamo fare le seguenti considerazioni. L’attacco è iniziato con una mega salva di razzi contro le città israeliane, fino a Tel Aviv.
Si stima che siano stati lanciati almeno 3.000 razzi in un periodo di tempo estremamente breve, con l’obiettivo di sovraccaricare il sistema di difesa Iron Dome. Questa strategia ha avuto lo scopo di distogliere l’attenzione da un’azione di natura più tradizionale, sebbene eseguita con un’intensità eccezionale.
In un lasso di tempo di poche ore, il numero di razzi lanciati ha superato il totale di quelli sparati da Gaza nell’arco di un intero anno.
Simultaneamente sono partiti gli attacchi con droni ai posti di osservazione e le installazioni militari israeliane lungo la barriera di sicurezza con Gaza. Piccoli droni che hanno lanciato granate e cariche RPG (Rocket-Propelled Grenade), ma anche droni kamikaze mai visti prima.
Insomma, la parola che ha dominato la giornata di ieri in Medio Oriente nuovamente in fiamme è stata “sorpresa“. Nonostante il tragico bilancio delle vittime e l’escalation di un attacco definito di guerra, l’interpretazione principale si concentra sull’elemento inaspettato dell’evento.
La legittima e immediata reazione ordinata da Tel Aviv di colpire le basi dell’organizzazione fondamentalista ha già causato oltre duecento vittime, anche perché le installazioni sono spesso situate in aree densamente popolate. Ma la prima reazione non cambierà l’evoluzione della situazione sul campo. Le decisioni delle prossime ore saranno prese in base alla situazione degli ostaggi nei kibbutz e degli uomini in uniforme caduti nelle mani del nemico.
È noto che l’Iran sostiene Hamas con aiuti economici e militari. Anche il Qatar finanzia la sopravvivenza della Striscia di Gaza, densamente popolata da due milioni di persone con poche fonti di reddito e poche possibilità di movimento. L’obiettivo proclamato è la rivendicazione dei luoghi sacri islamici, l’ottenimento dell’indipendenza per i Territori Palestinesi e l’eliminazione di Israele.
In questo momento critico, è fondamentale che la comunità globale si mobiliti per favorire una risoluzione pacifica e sostenibile del conflitto. Il dialogo, la mediazione e la negoziazione rappresentano potenti strumenti capaci di guidare verso una soluzione meno tragica del conflitto rispetto a quanto attualmente sembra prefigurarsi. Gli Stati islamici (Lega Araba), in particolare, potrebbero svolgere un ruolo significativo nel favorire il dialogo tra le parti coinvolte per il rilascio di bambini, donne e anziani tenuti in ostaggio da Hamas.
Nell’invocazione ad Allah, Signore della Pace e della Giustizia, impegniamoci attivamente con l’aspirazione che la pace trionfi sull’odio e sul terrore.
Abdellah M. Cozzolino