Considerazioni sul verde nell’Islam
<<Ci sono cose che sono soltanto cose ed altre che sono anche segni. Tra questi segni, alcuni sono solo dei segnali, altri dei contrassegni o degli attributi, altri ancora dei simboli>>
(Agostino d’Ippona).
Il colore non è soltanto un fenomeno fisico e percettivo, è anche una costruzione culturale complessa, resistente ad ogni generalizzazione. Per lo storico il colore è innanzitutto un fatto di società, né si dà una verità interculturale del colore.
Parlare di verde nelle società islamiche significherà, dunque, riflettere sulla base di esemplificazioni in diversi ambiti, dal lessico alla letteratura, alle scienze, alla relazione con la natura.
Lettura semantica:
Il verde è sinonimo di natura. E’ all’origine della vita. Il termine usuale è akhḍar أخضر aggettivo collegato anche alla nozione di scuro, significando talora nero, scuro, grigio.
Ritroviamo anche al-khaḍrā’ come nome del cielo: illustrazione supplementare del legame tra il blu e il verde, spesso confusi nell’antichità. I Greci, i Cinesi, i Melanesiani, i Neo-caledoniani, i Latini, tra gli altri, avevano uno stesso termine per designare questi due colori. Pur senza avere la straordinaria ricchezza di quelle del bianco e del nero, la terminologia del verde è abbastanza estesa.
Lettura simbolica:
Ad uguale di stanza dal rosso infernale e dal blu celeste, il verde ha un valore mediano di equilibrio, caro all’Islam. Presso gli Arabi, come presso molti altri popoli, esso è simbolo di natura prodiga, di giovinezza, di acqua. Per l’islam, lo stendardo verde del Profeta ﷺ è diventato emblema della religione. Il colore verde è così naturalmente nello spirito popolare degli Arabi che la loro lingua parlata è intrisa di espressioni in cui questo colore esprime la gioia, la gaiezza, il successo.
Nel Corano è scritto che gli abitanti del Paradiso:
“avranno vesti verdi di seta fine e broccato, e adorni saranno di bracciali d’argento…”. Corano LXXVI, 21
فِضَّةٍۢ وَسَقَىٰهُمْ رَبُّهُمْ شَرَابًا طَهُورًا
Nella simbologia e nelle scienze occulte lo smeraldo si è visto attribuire un senso esoterico e un potere rigeneratore. LaTavola di Smeraldo è il nome di un’opera, comparsa nel Medioevo, contenente tutte le leggi dell’occultismo e della Kabala e attribuita ad Ermete Trismegisto. LaTavola di Smeraldo è stata tradotta dall’arabo in latino nel 1250.
I Precetti furono trovati, prima dell’era cristiana, iscritti su una tavola di smeraldo.
Ermete Trismegisto o Mercurio Ter massimo
Significa -“Ermes il tre volte grandissimo” e deriva dal greco Ερμης οΤρισμεγιστος.
Secondo Athanasius Kircher:
Gli Arabi lo chiamano Idris, dall’ebraico Hadores ;
i fenici Tauto, gli Egizi Thot ma lo chiamano anche Ptha,
e i Greci Ermete Trismegisto” (Obeliscus Pamphilius:91).
Ad Ermete Trismegisto furono accreditati decine di migliaia di opere, di grande antichità e d’immensa importanza.
“Il colore verde – diceva Simnānī (tradizionalista, giurista e teologo ash’arita iracheno, XXI sec.) – è il più appropriato al segreto del mistero dei Misteri”. Nella cosmologia musulmana, monte Qāf جبل قاف la montagna che circonda il mondo terrestre, è fatta di smeraldo verde, di cui la volta celeste riprenderebbe il colore.
Nella storia.
A prescindere dalle sue origini, il colore verde è stato considerato per secoli associato all’islam. Ad es. I Crociati evitavano di usare il verde nei loro blasoni così da evitare di essere confusi con i loro avversari musulmani nell’impeto della battaglia. I califfi Omayyadi di Damasco, da grandi costruttori quali furono, si dotarono di uno splendido palazzo califfale, situato nelle immediate vicinanze della Grande Moschea:
il “palazzo verde” (al-Khaḍrā’) di cui storici, geografi e viaggiatori testimoniarono le meraviglie. Nulla, purtroppo, sembra esserne rimasto. L’architettura islamica presenta un larghissimo uso del verde nelle decorazioni ceramiche parietali e nelle cupole, particolarmente degli edifici religiosi, nelle aree del Vicino Oriente e dell’Asia centrale.
Nel Corano e nella Tradizione musulmana Individuare le motivazioni per cui determinati simboli e metafore si sono prodotti all’interno di una cultura/civiltà, e i percorsi attraverso i quali hanno mantenuto in essa una riconoscibile persistenza, comporta inevitabilmente il fare un viaggio all’indietro nel tempo in cui questa cultura si è strutturata. A chiarire il significato della preferenza data al verde può essere utile uno studio di Biancamaria Scarcia Amoretti, che parte dall’esame di due testi:
Il primo testo è, Corano. XXXVI, 79-80: “Le farà vive (le ossa) Colui che l’ha fatte germinare prima! Colui che ogni creare conosce! Colui che dell’albero verde vi fa fuoco, ed ecco ne accendete la fiamma!”. (Corano:XXXVI 79-80)
قُلْ يُحْيِيهَا الَّذِي أَنشَأَهَا أَوَّلَ مَرَّةٍ ۖ وَهُوَ بِكُلِّ خَلْقٍ عَلِيمٌ ٱلَّذِى جَعَلَ لَكُم مِّنَ ٱلشَّجَرِ ٱلْأَخْضَرِ نَارًا فَإِذَآ أَنتُم مِّنْهُ تُوقِدُونَ
Qui l’attributo “verde” è la parola che diventa principalmente carica di senso; è la parola che identifica il contesto. E il contesto è espresso nei versetti 32-33 e 26 che hanno a che fare con la qualità creativa di Allah ﷻ, attraverso il normale paradosso utilizzato nei testi religiosi, cioè l’espressione di interconnessioni sottintese fra concetti apparentemente non correlati per mezzo di spostamenti logici: in questo caso, (in relazione al) pertinente all’albero verde e alla creazione dell’umanità, di “altri uomini” da parte di Allah ﷻ che interviene, come un supercreatore, a trasformare la inanimata/morta materialità degli elementi rievocati dal fuoco, dall’albero, terra, attraverso (dal) il verde.
Il secondo testo è una tradizione riferita a una donna (Um Haram, moglie di Ubada Bin As-Samit), e riferita da al-Bukhari, in cui si parla dei credenti che faranno parte del gruppo degli eletti:
“Un giorno – narra la donna –il Profeta stava dormendo accanto a me. Si svegliò sorridendo ed io gli chiesi: “per quale motivo sorridi?”
Il profeta rispose narrando quanto stesse sognando: “ho visto tra la mia comunità gente che avanzava su questo mare verde, come re sul trono”
La donna disse al profeta: “Oh Messaggero di Allah, invoca Allah per fare di me una di loro”.
“Possa Allah ﷻ metterti fra loro!…”. disse il profeta – “sarai tra i primi gruppi”
Se nel testo coranico il tema centrale è il potere creativo di Allah ﷻ, qui lo è la forza salvifica dell’islam. Il mare verde è il sentiero da percorrere vittoriosamente per giungere ad una nuova esistenza, al di là del carattere quotidiano degli eventi umani.
I due testi delimitano lo spazio in cui il concetto di verde funziona: nascita materiale e spirituale. Ovvia è la connessione fra il primo tipo di nascita e la natura, la vegetazione, la terra: è il motivo della fertilità. Questo motivo trova comunque un parallelo ideale nel mondo celeste, almeno a giudicare dalla letteratura di tradizione, secondo la quale verde è il colore dei gentili e degli angeli, e verdi sono gli abiti degli eletti.
Ma non siamo in un contesto di vitalità solare, piuttosto di risorgenza ad una nuova vita attraverso la morte che porta all’annullamento del sé. In generale, verde è la terra e quanto attiene alla sfera della vita, ma corrisponde ad un momento di “interiorizzazione”, mentre è il rosso che rimanda all’energia vitale. Secondo quello che Henri Corbin chiama la simbologia dei colori nella teosofia islamica, la degradazione della luce, che passa dal bianco al verde, in progressione discendente verso il mondo infero significa un regressus ad uterum: e questo equivale ad ammettere la presenza dell’elemento femminile come un “polo” che presuppone, come suo opposto, la solarità dell’epifania centrata sul Trono, primo elemento dell’Essere. Questa è una lettura esoterica .
Un singolare personaggio: al-Khidr Altre riflessioni, altre suggestioni sono indotte dalla figura coranica di al-Khiḍr, “l’uomo verde, il profeta verdeggiante” che possiede il segreto dell’acqua di vita e rappresenta, nella tradizione islamica, la guida per eccellenza. Questo personaggio è oggetto di una diffusa venerazione nel mondo musulmano e numerosissimi sono i simboli che lo coinvolgono. Un recente importante studio (Franke, Begegnung mit Khidr: Quellenstudien zum Imaginären im traditionellen Islam) ha fornito una fenomenologia storica globale della fedeltà per lui. I racconti e le leggende relative ad al-Khiḍr si collegano al racconto del Corano (XVIII, 59-81) i cui tratti essenziali sono i seguenti: Musa/Mosè ( عليه الصلات و اللسلام ) intraprende con il suo servitore un viaggio alla volta del Majma’ al-bahrayn, ma una volta giunti alla meta essi si accorgono di aver dimenticato, per opera di Satana, il pesce che portavano con loro.
Il pesce è scivolato nell’acqua ed è scomparso. Cercandolo, i due viaggiatori trovano un servitore di Allah ﷻ.
Musa ( عليه الصلات و اللسلام ) gli dice che lo seguirà a condizione che gli insegni la retta via.
Ci si mette d’accordo su questo punto: tuttavia il servitore di Allah ﷻ dice a Musa ( عليه الصلات و اللسلام ) che egli non capirà le sue azioni, che non deve chiedergli spiegazioni e che, di conseguenza, non potrà rimanere con lui. Si mettono quindi in marcia e, cammin facendo, il servitore di Allah ﷻ compie una serie di azioni riprovevoli in apparenza che fanno spazientire Musa ( عليه الصلات و اللسلام ) al punto che non riesce a trattenersi dal chiedere delle spiegazioni. Il servitore di Allah ﷻ gli risponde: “Non ti ho forse predetto che mancherai di pazienza?”. Infine si allontana da lui e, partendo, gli da la spiegazione delle sue azioni, che hanno motivazioni sufficienti. La maggior parte dei commentatori chiama “al-Khadir” questo servitore di Allah ﷻ.
Altri identificano con lui il servitore di Musa ( عليه الصلات و اللسلام ). Le due opinioni hanno la loro radice nella leggenda orientale. In effetti il brano coranico risale a tre fonti principali:
L’epopeadi Gilgamesh, il romanzo di Alessandro e la leggenda ebraica del rabbino Josua ben Levi.
La destinazione del viaggio resta misteriosa, è stato ipotizzato che sia il punto estremo del mondo dove si toccano i due oceani, quello celeste e quello terrestre;
altri hanno suggerito che si tratti di un luogo situato all’estremo ovest del mondo alloraconosciuto dove si trovano le sorgenti di ogni acqua corrente, di fatto le colonne d’Ercole, incontro del mare romano con l’Oceano; secondo altri sarebbe invece il luogo dove l’oceano persiano e il mare romano si incontrano, cioè Suez. Il pesce indica simbolicamente il cammino; nel luogo dove lo si perderà, o meglio dove esso ritroverà la vita a contatto con l’acqua, lì si trova la fonte di vita dove al-Khadir abita. Il contatto con quell’acqua gli ha dato il colore verde.
Il personaggio compare nelle Tradizioni, nei commentari del Corano, nei manuali dei Sufi, nei dizionari biografici, come anche nelle leggende sui santi personaggi, nei racconti di viaggio e nella narrativa popolare. In linee generali i testi parlano di al-Khadir come di un uomo a cui Allah ﷻ ha concesso una lunga vita e che è apparso improvvisamente nelle vite degli umani. I suoi interventi erano finalizzati ad aiutare e portare soccorso nei momenti di necessità; a questo caratteristica si collega il fatto che l’odierno servizio di ambulanze in Turchia si chiami “Khidr service”.
Lungi dall’essere in rivalità con il profeta Muhammad ﷺ, la figura di al-Khadir si è sviluppata nella tradizione come suo supporto e aiutante. Alla fine del secolo scorso la maggioranza degli studiosi musulmani hanno rigettato l’idea della sua vita eterna, come non-islamica, (Sura XVIII del Corano) e, di conseguenza, non lo considera una figura religiosa con un posto nella storia islamica della salvezza ma soltanto una chimera che deve essere restituita al regno della superstizione.
Verde = Natura Le associazioni più comuni si trovano, comunque, nei legami con la natura: il verde è associato alla rigenerazione, fertilità, rinascita, il paradiso è un luogo pieno di verde rigoglioso. Nell’islam medievale si riscontra un approccio duplice dell’uomo nei confronti della natura: da un lato, la sua tensione a ridurla a categorie astratte; dall’altro il suo senso di tranquillo dominio e il diritto di intervento che gli viene da Allah ﷻ, quando lo dichiara suo vicario in terra.
Corano II, 30-31:
وَإِذْ قَالَ رَبُّكَ لِلْمَلَٰٓئِكَةِ إِنِّى جَاعِلٌ فِى ٱلْأَرْضِ خَلِيفَةً ۖ قَالُوٓاْ أَتَجْعَلُ فِيهَا مَن يُفْسِدُ فِيهَا وَيَسْفِكُ ٱلدِّمَآءَ وَنَحْنُ نُسَبِّحُ بِحَمْدِكَ وَنُقَدِّسُ لَكَ ۖ قَالَ إِنِّىٓ أَعْلَمُ مَا لَا تَعْلَمُونَ
Rientra nel primo approccio l’amore per il giardino, simbolo e prefigurazione del Paradiso. Esso costringe entro un ordine prefissato, da cui sono eliminati la casualità e gli eccessi che la natura lasciata a se stessa può mettere in scena, fiori, alberi e acqua. Il giardino è, certamente, il contrassegno di una dimora ricca o il luogo di evasione del principe. Può aspirare ad essere un microcosmo. E’ forse questo il senso del giardino zoologico di Samarra che si stendeva su una superficie di 50 km2 solcata da canali che circondavano gli spazi destinati alle bestie feroci, mentre gli animali inoffensivi circolavano liberamente tra i visitatori. Le miniature possono raccontare molto: Un recinto che chiude un frutteto, che è il caso più frequente, un melograno che impreziosisce un cortile con al centro una fontana, sono trascrizioni povere, quotidiane, del giardino principesco, ma è sempre un microcosmo.
Certo, non è ovunque facile come in Egitto…(testo da Nasir-i Khusraw) o nelle oasi della Siria. Complementare, piuttosto che contrapposto, è l’altro approccio alla natura. Questa è interessante in sé soltanto se vi si registrano fenomeni mirabili. Ciò che è straordinario conferma la libera potenza creatrice di Allah ﷻ anche se può rivelarsi ostile.L’uomo non può che farsene testimone attento. L’abitudine alla catalogazione, all’enciclopedismo, all’analisi del dettaglio che connotano la produzione islamica medievale non si traduce, se non occasionalmente, in indagine metodica sulla natura. Non ci sono una geologia o una botanica in senso proprio.
La modernità dell’islam medievale si colloca nell’interesse per la sperimentazione, che giustifica l’attenzione al caso, anche se ciò limita la spinta alla ricerca della legge generale che presiede non solo a quel caso ma a tutti gli altri dello stesso tipo.
Lo sguardo sulla natura è antropocentrico. La vita umana ne è la misura. Il risvolto della cosa è la preoccupazione di utilizzare al meglio quanto Allahﷻ ha messo a disposizione dell’uomo.
Il segno che l’uomo deve lasciare su questa natura, dono divino, deve essere positivo, metterne in evidenza le potenzialità senza alterarne la fisionomia a dimostrazione della gratitudine verso il Creatore e della consapevolezza della centralità dell’uomo nel progetto divino.
Il Corano afferma, infatti, senza ambiguità che Allah ﷻ dedica all’uomo l’esistenza del Creato, di cui per altro l’uomo stesso fa parte, chiamando l’universo tutto a fungere da prova lampante del suo essere Dio (Allahﷻ.)
إِنَّ فِى خَلْقِ ٱلسَّمَٰوَٰتِ وَٱلْأَرْضِ وَٱخْتِلَٰفِ ٱلَّيْلِ وَٱلنَّهَارِ وَٱلْفُلْكِ ٱلَّتِى تَجْرِى فِى ٱلْبَحْرِ بِمَا يَنفَعُ ٱلنَّاسَ وَمَآ أَنزَلَ ٱللَّهُ مِنَ ٱلسَّمَآءِ مِن مَّآءٍۢ فَأَحْيَا بِهِ ٱلْأَرْضَ بَعْدَ مَوْتِهَا وَبَثَّ فِيهَا مِن كُلِّ دَآبَّةٍۢ وَتَصْرِيفِ ٱلرِّيَٰحِ وَٱلسَّحَابِ ٱلْمُسَخَّرِ بَيْنَ ٱلسَّمَآءِ وَٱلْأَرْضِ لَءَايَٰتٍۢ لِّقَوْمٍۢ يَعْقِلُونَ
In altri termini, la libertà dell’atto creativo di Allah ﷻ può non tradursi in arbitro assoluto.
L’uomo può, anzi deve, decodificare il creato, cogliere il senso della sua struttura (Corano. XXI, 30-32). La verità/realtà che l’atto creativo di Allah ﷻ realizza nell’universo va, dunque, portata al livello della comprensione umana. Riconoscere l’ordine, da Allah ﷻ liberamente impresso al creato, presuppone la capacità umana di postulare le leggi che regolano, secondo ragione, l’universo.
La ricaduta più immediata di un simile atteggiamento è la spinta alla ricerca.
Indagare comporta nominare, verificare, sperimentare, manipolare ciò che ci circonda.
Non fa scandalo che si cerchi la scienza là dove essa si trova, nella Grecia classica, come si farà dall’VIII secolo in poi, o, come sollecita un detto del profetaﷺ, magari in Cina.
Corano. XXI, 79-80. E tuttavia, la subordinazione all’uomo delle cose create, che si manifesta nella sua capacità di spiegarle, non gli dà il diritto di violarne la natura e la funzione.
Le cose hanno un valore in sé, anche se sono utili all’uomo. Per es. il ciclo vitale delle piante o l’acqua è un tema particolarmente ricorrente:
(Corano LXXX, 24- 32).
فَلْيَنظُرِ الْإِنسَانُ إلى طَعَامِهِ، أَنَّا صَبَبْنَا الْمَاء صَبًّا، ثُمَّ شَقَقْنَا الْأَرْضَ شَقًّا، فَأَنبَتْنَا فِيهَا حَبًّا، وَعِنَبًا وَقَضْبًا، وَزَيْتُونًا وَنَخْلًا، وَحَدَائِقَ غُلْبًا، وَفَاكِهَةً وَأَبًّا، مَّتَاعًا لَّكُمْ وَلِأَنْعَامِكُمْ
L’universo tutto va rispettato, l’uomo ha il divieto di abusare di quanto la terra gli offre e di corromperla: “Quest’ultima dimora noi la serbiamo per coloro che non cercano elevazione superba sulla terra né la corrompono”.
لْكَ ٱلدَّارُ ٱلْءَاخِرَةُ نَجْعَلُهَا لِلَّذِينَ لَا يُرِيدُونَ عُلُوًّا فِى ٱلْأَرْضِ وَلَا فَسَادًا ۚ وَٱلْعَٰقِبَةُ لِلْمُتَّقِينَ
… Tanto più che le risorse possono non essere illimitate:
(Corano. XXIII, 17-19.)
وَأَنزَلْنَا مِنَ ٱلسَّمَآءِ مَآءًۢ بِقَدَرٍۢ فَأَسْكَنَّٰهُ فِى ٱلْأَرْضِ ۖ وَإِنَّا عَلَىٰ ذَهَابٍ بِهِۦ لَقَٰدِرُونَ
Certe norme del diritto islamico illustrano un simile atteggiamento. Cogliere un frutto maturo che sporge da un frutteto, se chi passa ha fame, non costituisce un furto. Infatti, Allah ﷻ fa fruttificare le piante, non per una singola persona, ma per l’intera umanità. Azione meritoria è bonificare la terra morta, che diventa proprietà di colui che l’ha resa fertile. Così scavare un pozzo. Chi lo fa ha la garanzia di poter utilizzare un terreno circostante di 40 cubiti per far riposare i suoi armenti se ne possiede.
Per converso, severe sanzioni sono prescritte per chi inquina l’acqua, elemento vitale che il profeta ﷺ sostiene non si possa negare a nessuno, e il cui utilizzo va regolamentato in maniera puntuale ma diversificata a seconda delle esigenze e dei contesti ambientali. La libertà umana, che spinge e, paradossalmente obbliga all’azione il musulmano medievale, si fonda e si iscrive nell’ordine divino. Tutto, natura compresa, trova la sua
ragion d’essere partendo dal principio che Allah ﷻ “ha dato forma alle creature senza che la loro creazione gli fosse necessaria”, ma soltanto perché queste “sappiano di avere un Creatore e non riconoscano e adorino altro che Lui”
(Ṭabarī nella versione di Balʿamī, La Chronique. Histoire des Prophètes et des Rois, vol.I, De la création à David, ed. Sindbad, 2001).
L’universo intero esiste, dunque, in funzione dell’uomo. Ma è solo in uno spazio circoscritto dove sia distinto, sia pure simbolicamente, ciò che è selvaggio e ignoto, vale a dire naturale, da ciò che è civile e familiare, vale a dire umano, che il musulmano medievale entra in sintonia con la natura e l’ambiente. Il giardino, immagine del giardino paradisiaco.
(Corano. LV, 51-52).
فِيهِمَا مِن كُلِّ فَٰكِهَةٍۢ زَوْجَانِ فَبِأَيِّ آلَاءِ رَبِّكُمَا تُكَذِّبَانِ