Il panorama mediatico contemporaneo, con la sua influenza pervasiva sulla percezione pubblica, spesso presenta narrazioni dissonanti di eventi tragici, evidenziando meccanismi di stigmatizzazione e la costruzione di un pericoloso “nemico interno”. Questa dicotomia nella narrazione, basata su fattori come l’etnia, la religione o l’origine dell’autore di un atto violento, solleva interrogativi cruciali sul ruolo dei media nel plasmare la realtà sociale e alimentare le divisioni.
Due recenti casi esemplificano questa dinamica: l’attacco di Sydney e quello alla Gare de Lyon.
A Sydney, la narrazione mediatica ha abbracciato la compassione, presentando l’aggressore, affetto da disturbi mentali, come vittima e carnefice. L’attenzione si è focalizzata sulla sofferenza psichica come causa scatenante, eclissando motivazioni ideologiche o politiche. Un approccio che ha sollevato interrogativi sulla gestione della salute mentale, ma che ha evitato di alimentare divisioni sociali.
Al contrario, l’attacco alla Gare de Lyon ha visto l’aggressore, un cittadino maliano, sottoposto a un intenso scrutinio mediatico. Il suo passato migratorio, lo status legale e persino i suoi profili social sono stati analizzati per costruire un profilo complesso, spesso ridotto a una minaccia potenziale. Questa narrazione ha alimentato pregiudizi e rafforzato l’idea di un “nemico interno”, definito da identità, origine e presunti disturbi mentali.
Questa dicotomia solleva interrogativi cruciali sul ruolo dei media nella costruzione della realtà sociale. L’assolutismo della “verità” mediatica, spesso inconsapevole, non solo distorce la realtà, ma alimenta una dinamica pericolosa di divisione e polarizzazione. Il “nemico interno” diventa un simbolo su cui proiettare i mali della società, distraendo dai veri problemi socio-economici.
I media, con il loro potere di plasmare la percezione pubblica, definiscono i contorni di questo nemico, attribuendogli caratteristiche semplicistiche e riduttive. Ciò alimenta tensioni sociali, identifica capri espiatori e amplifica le paure collettive. Questa rappresentazione binaria e manichea non riflette la complessità delle questioni e delle realtà che sottendono i conflitti contemporanei.
L’enfasi su elementi come la religione dell’aggressore, spesso presentata come causa principale dell’atto, distorce la realtà e favorisce una visione semplificata dell’avversità. Questa stigmatizzazione mediatica rafforza i pregiudizi e contribuisce alla costruzione di un “nemico interno” percepito come minaccia imminente per l’identità e la sicurezza nazionale.
Non si tratta di negare la realtà dei fatti, ma di interrogarsi sulla loro interpretazione. La religione di un individuo deve prevalere sulla sua capacità di comprendere il mondo? Se sì, questo approccio dovrebbe essere applicato a tutti gli individui con disturbi mentali, indipendentemente dalla loro fede.
La minaccia dell’estremismo, sia jihadista che di estrema destra/sinistra, è reale e preoccupante. Tuttavia, un fatto di cronaca rimane tale, indipendentemente dalle rivendicazioni dell’autore. La differenziazione nel trattamento mediatico a seconda dell’identità dell’aggressore alimenta un clima ansiogeno e divisivo.
È fondamentale riconoscere la pericolosità della copertura mediatica distorsiva e della costruzione del “nemico interno“. Questi fenomeni riflettono le tensioni e le paure della società, ma anche i nostri pregiudizi. Deconstruendo questi meccanismi, possiamo aspirare a una visione più unificata e umana del mondo.
Pur difendendo la libertà di stampa, è necessario che la società rifletta sulle proprie responsabilità. Ognuno, nel suo ruolo, deve garantire la veridicità e l’imparzialità dell’informazione per costruire una società equilibrata e consapevole.
Abdellah Hariri